Dagli USA, all’UE per un modello di sviluppo sostenibile

di Dino Maggioni, Amministratore Delegato del Gruppo Marangoni

In molti mi hanno posto con stupore la domanda: “Che cosa state combinando negli Stati Uniti? Ho visto il nome della Marangoni su alcuni importanti giornali americani…”. Uno stupore comprensibile perché non capita tutti i giorni che un’azienda multinazionale italiana si imponga nel dibattito interno d’oltre Oceano.

Il tema rilanciato sui media è quello dell’importazione dalla Cina degli pneumatici nuovi per autocarro e autobus, e del “dumping” che rischia di mettere in ginocchio un intero comparto, quello del ricostruito, di cui Marangoni è azienda leader anche negli Stati Uniti.

Che cosa vuole dire “dumping” in questo specifico contesto? Significa che molti produttori cinesi di pneumatici, grazie alle sovvenzioni e contributi agli investimenti ricevuti dai governi delle Repubbliche cinesi e al più basso costo dei loro prodotti (associato alle prestazioni e durata inferiori), possono esportare in USA (e in Europa) pneumatici di bassa qualità a prezzi “non di mercato”.

Negli USA, Marangoni è tra i primi produttori indipendenti di materiale per la ricostruzione degli pneumatici. Gli anelli battistrada RINGTREAD Marangoni prodotti nella fabbrica di Nashville, vengono impiegati da decine di aziende sparse in tutto il continente nordamericano per ricostruire a nuovo centinaia di migliaia di pneumatici ogni anno. Per Marangoni, leader anche negli Usa nella cosiddetta “economia circolare”, come per molte altre imprese americane che operano nel settore della ricostruzione, il “dumping” gioca la competizione in modo unfair, impari, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro nel comparto. Parliamo infatti di una filiera di attività con un impiego della manodopera distribuito sul territorio tanto che negli Stati Uniti il settore della ricostruzione conta più di sessantamila addetti.

Questi i motivi all’origine del clamore suscitato dalla campagna “Retread Instead” (traducibile come “Scegli invece la Ricostruzione”) lanciata da Marangoni, che si è fatta capofila di una raccolta di firme con l’obiettivo di sollecitare l’Amministrazione americana a reintrodurre i dazi sulle importazioni cinesi, dopo che lo scorso febbraio la Commissione Usa per il Commercio Internazionale (ITC, International Trade Commission) aveva ritenuto di non confermare quel provvedimento, esprimendosi contro il parere dalla stessa espresso e deliberato in precedenza.
www.retreadinstead.net

Conosciamo bene quanto gli Stati Uniti siano sensibili alla libertà di impresa e di commercio da un lato e al “made in America” dall’altro: e chi, come Marangoni, si fa promotore di una battaglia su questi punti cardine guadagna immediatamente la ribalta nazionale.

La nostra petizione chiedeva al Presidente Trump di intervenire per completare la composizione della Commissione per il Commercio Internazionale dopo le dimissioni di uno di loro, Dean Pinkert. La sua assenza ha sicuramente influenzato la determinazione finale (3-2 contro i dazi). Se Pinkert, prima di lasciare il suo incarico in seno alla Commissione, avesse votato come aveva già fatto altre volte sullo stesso punto, a favore delle tariffe di importazione “anti-dumping”, il risultato sarebbe stato di parità e ciò avrebbe comportato la conferma dei dazi.

In concomitanza con l’iniziativa lanciata da Marangoni si è già ottenuto un primo rilevante risultato: la scorsa settimana il Presidente Donald Trump ha annunciato la propria intenzione di sostituire il membro dimissionario con Jason Kearns, avvocato esperto in diritto e commercio internazionale. Una decisione che, se non direttamente riconducibile alla nostra petizione, comunque sblocca una situazione di stallo, risponde alle ragioni della nostra battaglia e al grande dibattito che si è scatenato negli Usa in queste settimane sulle tematiche di cui Marangoni si è fatta portavoce schierata apertamente in quanto non condizionata da altri obiettivi economici.

Il Presidente Donald Trump ha annunciato la propria intenzione di sostituire il membro dimissionario della Commissione per il Commercio Internazionale. Una decisione che, se non direttamente riconducibile alla nostra petizione, comunque sblocca una situazione di stallo, risponde alle ragioni della nostra battaglia e al grande dibattito che si è scatenato negli Usa in queste settimane sulle tematiche di cui Marangoni si è fatta portavoce.

Di un fatto siamo già certi: abbiamo dato il via a un dibattito che ha attirato l’attenzione dei media, ha coalizzato alcune imprese e che ha pungolato l’Amministrazione americana a prendere una decisione e continueremo la nostra pressione perché la Commissione riveda la sua posizione.

Per la raccolta di firme abbiamo utilizzato la piattaforma “We the People”, ideata e istituita dall’ex presidente Obama nel 2011 e mantenuta anche dal suo successore. Se una petizione raccoglie abbastanza firme, riceve una risposta diretta. La disciplina aggiornata nel gennaio del 2013 prevede che una petizione, per poter essere inserita nel portale di ricerca su WhiteHouse.gov deve raggiungere 150 firme entro 30 giorni: se raggiunge 100.000 firme entro 30 giorni ha diritto di ottenere una risposta. Nella realtà dei fatti è sufficiente che una petizione venga sottoscritta anche solo da alcune centinaia di persone perché la sua causa venga presa in considerazione.

La petizione lanciata da Marangoni ha ottenuto 1500 firme considerate “pesanti” perché provenienti da un settore primario nell’economia statunitense.

Per ricostruire la recente storia,  nell’estate 2016 (28 Giugno), un’altra istituzione,  il Department of Commerce – DOC – aveva dato il via all’applicazione di dazi sull’importazione per gli pneumatici camion e bus fino al 23,38%. Il 29 Agosto dell’anno scorso, sempre il DOC ha poi introdotto degli ulteriori dazi anti-sovvenzione (da sommarsi ai precedenti deliberati) per almeno il 20%. Il 12 Ottobre, il DOC ha ammesso di aver calcolato male i precedenti dazi anti-sovvenzione, e che il nuovo livello corretto era almeno 30% (aumento di 10 punti percentuali). In estrema sintesi, a Ottobre 2016 gli pneumatici cinesi erano soggetti ad almeno 53,38% di dazi totali (importazione e anti-sovvenzione).

Fino a quando, come detto prima, il 22 febbraio di quest’anno, l’International Trade Commission ha contraddetto le  precedenti delibere e ha eliminato i dazi di importazione per gli pneumatici per camion e bus. La decisione, arrivata come un fulmine a ciel sereno, è stata un duro colpo per coloro che hanno combattuto per proteggere l’industria e l’occupazione locale. Il presidente del sindacato United Steelworkers, Leo Gerard, ha avuto parole molto pesanti: “I commissari dell’ITC – ha affermato – hanno compiuto un enorme errore decidendo che gli pneumatici importati non danneggiano i produttori statunitensi. Mentre il Dipartimento del Commercio ha individuato sovvenzioni per oltre il 60% e fenomeni di dumping fino a quasi il 23%, l’ITC non è riuscita a sostenere i lavoratori statunitensi. Questa decisione ignora semplicemente i fatti e il danno che le esportazioni cinesi stanno ingiustamente causando ai lavoratori.”

Se attraverso questa iniziativa abbiamo ottenuto un grande impatto mediatico e rafforzato un dibattito il cui eco negli USA ha raggiunto la Casa Bianca che cosa sta succedendo in Europa?

Nel Vecchio Continente la situazione del mercato è assolutamente simile e paragonabile a quella degli Stati Uniti: pneumatici nuovi cinesi per camion e bus, importati e venduti a prezzi “non di mercato” grazie agli stessi meccanismi di sovvenzioni interne e politiche di basso costo e scarsa qualità del prodotto finale.

Nonostante questa situazione molto critica, nemmeno in Europa vengono applicati dazi di alcun tipo sull’importazione degli pneumatici cinesi camion e bus.

Tutto questo dimostra quanta strada debba ancora essere percorsa, sulle due sponde dell’Oceano, per far guadagnare posizioni a un modello di sviluppo che sappia coniugare sostenibilità e profitto, attenzione alle risorse (ambientali, economiche, umane,…) e occupazione.

Un diverso grado di disattenzione mostrato sin qui dalla nuova Presidenza Usa e dalla Comunità Europea che è uguale nel sottostimare le conseguenze che il modello di economia ”lineare” – più vecchio, più inquinante, più dispendioso – continua ad avere su moltissime imprese, su interi comparti economici, ma soprattutto sui nostri stili di vita. Proprio per questo, una battaglia di progresso che per noi vale la pena di continuare a combattere.

Dino Maggioni

Rovereto, 10.07.2017